«Dora non è una semplice donazione, anzi, è un progetto che ti mette in gioco e ti chiama ad essere attivo per un problema della tua città. Questo ci ha convinto, e crediamo che il nome Generali possa dare una mano anche in questo senso».
Filippo Morlini, uno dei referenti dell’Agenzia Generali di Reggio Emilia, vede tante sfaccettature positive nella collaborazione fra il marchio assicurativo, uno dei principali colossi italiani ed europei del settore, e l’emporio solidale reggiano. Generali sta sostenendo Dora in tanti modi, con aiuti concreti e con una ancora più preziosa diffusione capillare del progetto.
Perché tutta questa forza?
«Il progetto ci è piaciuto molto da subito. Perché? Perché non è un’operazione di pura elargizione da parte di un’impresa».
È qualcosa di più?
«È molto di più, è un progetto ben preciso e ben identificato che riguarda purtroppo persone della nostra città. Persone che si trovano in queste condizioni di in disagio dovute alle contingenze economiche».
Fa pensare?
«Nella nostra realtà siamo una settantina di persone. Abbiamo realizzato che poteva capitare forse anche a uno di noi, a chi conosciamo. Questo ci ha colpito tutti, soci, collaboratori, tutti».
Il coinvolgimento è più alto?
«Quando si fa una donazione, un’elargizione a un ente no profit per un progetto dall’altra parte del mondo, lo si fa perché si sa che è giusto. Fa piacere, ma o si ha particolare sensibilità per quella causa oppure rimane un gesto distante. Il sostegno a Dora è un’azione che si fa sotto casa, anche proprio fisicamente nel nostro caso, vista la vicinanza fra la nostra sede e l’emporio».
Però non vi mancheranno le richieste, di sicuro. Perché Dora?
«Ci ha colpito la serietà dell’operazione. Ovviamente abbiamo fatto diverse riflessioni prima di affiancare il nostro nome a un’operazione del genere. Siamo quattro soci, rappresentiamo il marchio Generali ma è nostro, noi siamo attenti a cosa associamo al nostro nome. Generali a livello europeo ha una grande attenzione al valore etico e Dora ci è sembrato perfetto».
Cosa vi ha convinto, nel dettaglio?
«L’idea di centro raccolta. Noi bene o male abbiamo diverse sedi, diversi punti che possono diventare loro stessi punti di raccolta. Questa è un’idea vincente».
Siete un’impresa ed è normale che vi aspettiate un ritorno. In che termini se lo immagina?
«Esatto, noi siamo un’azienda commerciale. Ma di certo non sosteniamo Dora per stipulare contratti in più».
Per cosa, allora?
«È una questione di eticità, ci possiamo affiancare a un’operazione di grande valore etico. Possiamo dare direttamente dei contributi e far presente ai nostri clienti che noi sosteniamo il progetto. Non chiediamo donazioni ai clienti, le faranno loro se lo vorranno; noi però possiamo fare passaparola, spingere qualcosa ad attivarsi».
È un progetto attivo in ogni senso.
«Sì, e anche questo ci piace molto. Le famiglie aiutate sono spinte e motivate ad attivarsi per uscire dalla situazione di difficoltà, con corsi, con sostegni. Questo ci è piaciuto molto, anche pensando all’eventuale necessità di aprire altri empori in altre aree della città».
La città in cui operate?
«Dora ci ha convinto per il ritorno di pura immagine etica che può darci. Noi siamo un marchio per famiglie e imprese, il nostro settore sta tenendo e crediamo sia giusto, doveroso dare una mano a chi è difficoltà».
Come è nata la vostra collaborazione?
«Il progetto lo abbiamo conosciuto tramite DarVoce, c’erano diverse attività interessanti. Questo ci ha interessato perché è un progetto semplice da far capire ai nostri clienti, colpisce alla pancia. Noi ora vogliamo fare un’informazione insieme presente e dolce. Faremo da centro di raccolta e tutti e 70 ci impegniamo a parlarne, ai clienti e non solo. Senza forzare la mano.
Non è uno sforzo da poco, no?
«Riteniamo che la nostra capillarità possa dare una bella mano anche in questo senso, e crediamo che clienti possano incuriosirsi, visto che noi, ci faremo portavoce in un progetto in cui crediamo. Possiamo dare un bel sostegno. Non è come quando si fa un bonifico, pur generoso, e poi la storia finisce lì. Noi siamo in settanta e se tutti appoggiamo Dora possiamo fare rumore, possiamo condividerlo puntando anche sulla serietà del progetto, che ha tutti i crismi di affidabilità, nella gestione come nella selezione delle famiglie. Diamo una mano volentieri, come altre aziende, e il nome Generali può spingere qualcun altro a muoversi.
Un sostegno etico che rappresenta per certi versi un mondo nuovo, per l’imprenditoria italiana. Come vivete questo cambio di mentalità?
«È un nuovo approccio in cui ci si mette un po’ più in gioco, si è più parte attiva. La sensibilità è cambiata per forza, questi tempi ci hanno aperto gli occhi, la nostra è una generazione che sta bene ma che ha figli e nipoti, e chissà cosa ci dirà il futuro».
Il salto è molto ampio.
«Se guardiamo a due generazioni di distacco, c’è un’enorme distanza nelle prospettive. L’epopea che ha vissuto mio padre sarà quasi impossibile per mio nipote. Con questo quadro, viene abbastanza spontaneo muoversi».
È quella la differenza, muoversi attivamente?
«Sì. Quando c’è un’emergenza gli italiani si mobilitano, sono generosi, questo non è mai stato un problema. Ma questo nuovo approccio è più attivo e spinge a mettersi in gioco, non si esaurisce inviando un sms dal cellulare. E non si fa neanche per avere chissà quali vantaggi fiscali».
Per cosa allora?
«Per dire che anche noi ci siamo, per far sapere a chi lavora con noi e ai nostri clienti che siamo un’azienda che dà una mano al territorio».